Sabato di sole di fine maggio, e dopo mesi di limitazioni, restrizioni, e clausura domestica, decidiamo di raggiungere finalmente la costa. Per molti, come per me, uno dei desideri più ambiti durante il lockdown, trascorrere qualche ora in spiaggia e lasciarsi alle spalle questi mesi bui.
Percorriamo 1 ora e 40 minuti di strada, la destinazione è Erchie, uno dei primi centri della costiera amalfitana, e una delle spiagge più vicine, un luogo che fequentiamo e amiamo proprio per essere tra le destinazioni più autentiche e se vogliamo popolari della costiera amafitana, e con prezzi ancora accessibili. Maggio è un mese perfetto, siamo ancora fuori stagione, e magari riusciamo a risparmiare anche sul parcheggio privato.
La sorpresa, arrivati sul posto, invece è evidente, complice le forti restrizioni per il contenimento del Covid, le zone rosse, le ansie e le paure del virus, la legittima voglia di mare ha travolto moltissimi: la stagione turistica è cominciata con anticipo e tutto l’apparato turistico era già lì pronto ad accoglierci.
Ma la grande ed assolutamente inaspettata sorpresa è stata invece un’altra: quest’anno non abbiamo trovato più il mare, la spiaggia è svanita. Quello che abbiamo trovato, ma è quello che accade su quasi tutto il litorale, sono state barriere, transenne, muri, e soltanto varchi di ingressi a stabilimenti privati. A pagamento.
Neanche un metro di spiaggia lasciato libero, non un metro di suolo pubblico è stato risparmiato, fosse anche solo per sedersi 10 minuti a guardare al mare.
Chi non voleva, o non poteva accedere ad uno stabilmento privato ha occupato quello che c’era, una piccola striscia di sabbia, larga pochi metri, e risparmiata dalle concessioni a privati in quanto fascia di diporto delle barche.
Comprendiamo le sofferenze e la profonda crisi del comparto turistico durante i giorni del lockdown e delle zone rosse e arancioni, ma nulla può giustificare la sottrazione di un bene pubblico, di un luogo tra l’altro così importante ed iconico nella cultura italiana, soprattutto in un periodo come questo in cui i cittadini ne hanno grande bisogno.
Lo sappiamo, il rispetto delle distanza di sicurezza avrebbe rappresentato un grosso limite per gli spazi dati in concessione agli imprenditori degli stabilimenti balneari, ma quello che ci chiediamo è se valgano più le pretese delle imprese invece dei diritti dei cittadini e dei bisogni della collettività. Ci chiediamo inoltre cosa c’entri la sicurezza con la concessione a privati del demanio, con la sottrazione di un bene al pubblico. Cosa c’entri la sicurezza, il covid, con questa anomalia tutta italiana delle sfilate di ombrelloni e degli stabilimenti balneari, oltretutto relegando in pochissimi metri lo spazio libero fruibile, e creando così presupposti maggiori di assembramento in queste aree.
Un monopolio quello dello stabilimento balneare che si configura come un vero e proprio modello culturale, unico e totalizzante, che non lascia spazi ad altri modi di vivere la costa ed il litorale marittimo, e come spesso e più in generale accade in questa nazione, che non riesce a convivere con altri modelli, se non fagocitandoli nel pensiero unico.
Chiariamolo: la spiaggia è un bene pubblico che appartiene allo Stato, demanio marittimo dello Stato. Significa che sono beni di proprietà dello Stato (oppure di Regioni, Province o Comuni), inalienabili, inespropriabili e destinati a servire i bisogni della collettività.
Significa che bisogna difenderli.